Riflessioni su Chernobyl, vent'anni dopo


    Era il 26 Aprile 1986 quando il reattore n.4 della centrale nucleare di Chernobyl esplose e diede luogo al più devastante degli incidenti registrati nella storia dell'industria dell'energia nucleare.

    La quantità di materiale radioattivo rilasciata fu massiccia; una nube tossica contaminò pesantemente l'Ucraina, la Bielorussia e i paesi della Federazione Russa (all'epoca facenti ancora parte dell'Unione Sovietica) e, sospinta dalle correnti atmosferiche, giunse a interessare gran parte dell'Europa, seppure in modo minore.

    [inline: 2= Immagine - 1 - Il reattore n.4 dopo l'esplosione] Immagine - 1 - Il reattore n.4 dopo l'esplosione ©ukrainianweb.com

    La zona più penalizzata fu quella compresa entro un raggio di 30 km dalla centrale, chiamata "zona di esclusione"; nel periodo di tempo compreso fra l'esplosione e l'evacuazione dell'area, in cui vivevano circa 135.000 persone, la popolazione fu esposta a una dose di radiazioni pari a circa 5 volte quella assorbita naturalmente in un anno(1). A queste si unirono le radiazioni assunte per alimentazione a base di cibo inquinato, come il latte e i prodotti agricoli locali; al consumo di latte contaminato è legata una delle realtà più toccanti dell'intera tragedia, quella dei "bambini di Chernobyl", in cui l'incidenza di tumori alla tiroide e leucemie infantili aumentò drasticamente dopo l'evento.

    A causare l'incidente fu un esperimento che aveva, paradossalmente, lo scopo di verificare il funzionamento in sicurezza del reattore in condizioni di momentaneo black-out; nel corso di questa simulazione si mischiarono fatalmente violazioni sostanziali delle norme di sicurezza nelle procedure operative e svariati errori umani, a cui vanno aggiunti una serie di gravi difetti nella struttura stessa del reattore, che raggiunse nel giro di pochi secondi condizioni estreme di instabilità  e provocò due violente esplosioni: l'edificio fu letteralmente scoperchiato e all'esterno si scagliarono tonnellate di materiale altamente radioattivo, fra detriti solidi e vapori tossici.

    Diverse ombre permangono sulla reazione del governo sovietico che diede ufficialmente la notizia solo due giorni dopo, il 28 Aprile 1986, quando già la comunità scientifica europea aveva sollevato allarme per l'improvvisa registrazione di livelli di radioattività sospetti nell'aria.

    A questo si unisce anche l'insufficienza di informazione e consapevolezza sulla reale pericolosità di ciò che stava per affrontare gran parte del personale accorso immediatamente sul luogo per spegnere l'incendio, oltre alla mancanza di adeguate misure di sicurezza per coloro che, successivamente, si avvicendarono sul luogo del disastro per la messa in sicurezza dell'impianto e la bonifica del sito; parliamo dei cosiddetti "liquidatori", oltre 600.000 uomini che, dal 1986 al 1990 lavorarono a turni sul luogo per rinchiudere il reattore in un involucro schermante in cemento armato(2) proteggendosi in modo artigianale e improvvisato, in assenza di adeguate tute antiradiazione.

    (1)Stime ufficiali valutano in 0,0024 Sievert la dose di radiazioni assorbite da un individuo in seguito alle emissioni radioattive dovute a fonti naturali; nella zona di esclusione, immediatamente dopo l'esplosione, si è calcolata un'esposizione media a 0,01 Sievert di radiazioni

    (2)Il "sarcofago" in cui fu racchiuso ciò che rimase del reattore esploso è oggetto di un costante deterioramento con preoccupanti rischi di fuoriuscita del materiale radioattivo ancora presente al suo interno. Non ci sono attualmente notizie di strategie definite da parte del governo ucraino per porre rimedio alla cosa;

    La stima delle conseguenze

    Di fronte ai numerosi e ardui tentativi di fare un bilancio effettivo delle vittime del disastro, soprattutto in proiezione degli effetti ancora in corso e incorribili in futuro, nel 2003 è stato istituito un organo ufficiale, il Chernobyl Forum, incaricato di tracciare un bilancio esaustivo sulle conseguenze a livello sanitario, ambientale e socio-politico dell'incidente.

    Per portare a termine questo difficile compito, la IAEA(3), diverse organizzazioni mondiali delle Nazioni Unite, come la WHO(4) e la OMS(5), insieme ai governi dei tre stati maggiormente colpiti, hanno riunito un centinaio di esperti da tutto il mondo che, recentemente, hanno pubblicato un rapporto con i risultati del lavoro svolto.

    [inline: 1= Immagine - 2 - Reactor 4 Chernobyl NPS. Covered with Sarcophagus since accident in 1986] Immagine - 2 - Reactor 4 Chernobyl NPS. Covered with Sarcophagus since accident in 1986. DEC 1995 CHERNOBYL UKRAINE D ©Greenpeace/Shirley

    Il primo bilancio riguarda le vittime effettivamente accertate sinora, che risultano essere 58 e comprendono i due operatori che persero la vita nell'impianto durante l'esplosione, altri 47 membri del personale, di cui 28 morirono nel corso dell'anno e 19 successivamente, e 9 bambini affetti da cancro alla tiroide.

    La stima del forum riguardo ai possibili decessi che potranno ancora avvenire per cause direttamente collegate all'incidente parla di circa 4000 casi, un numero che per molti sarebbe troppo "basso", tanto che c'è chi parla di minimizzazione del disastro e insabbiamento delle informazioni.

    (3)IAEA: International Atomic Energy Agency (Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica);

    (4)WHO: World Health Organization

    (5)OMS: Organisation Mondiale de la Santé

    Nuovi scenari energetici

    In seguito ai fatti di Chernobyl, il mondo si trovò improvvisamente di fronte al peggiore dei suoi incubi e l'onda emotiva che ne derivò rappresentò per molti paesi l'inizio del declino del nucleare civile come risorsa energetica; fra i casi emblematici di questa controtendenza ci fu proprio l'Italia, che cambiò radicalmente la propria politica in tema di energia fino a giungere al referendum popolare indetto l'anno successivo, che segnò l'arresto definitivo degli impianti ancora attivi.

    La centrale di Caorso, che già aveva destato preoccupazioni alla fine degli anni Settanta, fu arrestata nell'Ottobre del 1986; in Novembre fu la volta della centrale di Latina mentre nel 1987 toccò a Trino che, in seguito agli esiti del referendum, sospese il riavvio dopo la sua ultima fermata per la ricarica del combustibile.

    Anni prima, nel 1982, era stata decisa la chiusura della centrale del Garigliano in quanto bisognosa di interventi di manutenzione ritenuti troppo onerosi in vista della breve vita residua dell'impianto.

    A distanza di 20 anni, coincisi con il crearsi di nuovi scenari sul piano energetico e ambientale, c'è chi riflette sulle conseguenze di questo no storico al nucleare e lo ritiene penalizzante; fra le voci inattese anche quelle di personaggi di spicco del panorama ambientalista, tradizionalmente zoccolo duro dell'antinuclearismo, che oggi rivalutano le proprie posizioni alla luce dell'emergenza climatica mondiale.

    Patrick Moore, fra i fondatori di Greenpeace, si interroga sull'attuale contesto ambientale e sulla crescente minaccia rappresentata dal buco dell'ozono e dall'effetto serra, costantemente alimentato dall'industria dell'energia derivante dal petrolio e dalle altre fonti fossili e, in un articolo apparso recentemente sul Washington Post, definisce l'energia nucleare come l'unica fonte realmente in grado di salvaguardare il pianeta da un disastro climatico, sulla base dell'insufficienza delle fonti rinnovabili.

    Sul tavolo dei dati da valutare occorre infine aggiungere la delicata posizione dell'Europa di fronte a realtà di fatto come la diminuzione delle riserve di idrocarburi e i dettami del protocollo di Kyoto che, ratificato dall'Unione Europea nel Maggio 2002, impone una progressiva riduzione del ricorso ai gas ad effetto serra come il famigerato biossido di Carbonio (CO2).

    Un altro punto debole indiscutibile è la dipendenza economica dai paesi produttori di petrolio, la cui instabilità politica introduce preoccupanti effetti di riflesso sulle nazioni che importano da loro.

    L'intervento di Moore fa seguito a quello di James Lovelock, fautore della teoria di Gaia, che già dal 2004 invita ad abbattere ogni tabù ideologico sul nucleare a fronte di dati di fatto rigorosi e scientifici per una reale tutela dell'ambiente.

    Il problema delle scorie

    Il nucleare come fonte di energia "pulita" è un altro argomento controverso; di sicuro gli impianti nucleari non producono CO2, né emissioni di altri gas di scarico paragonabili a quelli delle centrali termoelettriche, ma di contro producono scorie, cioè materiali di rifiuto fortemente radioattivi che necessitano di uno smaltimento accurato, fonte anch'esso di innumerevoli controversie.

    Parliamo in particolare delle scorie di III grado, cioè quelle derivanti dal termine del ciclo di attività di una centrale, che hanno tempi di decadimento dell'ordine di centinaia di migliaia di anni, a differenza delle scorie di II e I grado, rispettivamente a medio e basso livello di emissione radioattive, come i rifiuti generati dai reparti ospedalieri di medicina nucleare, che decadono in tempi decisamente inferiori ("solo" centinaia di anni per i rifiuti di II grado e alcuni mesi per quelli di I grado).

    La distruzione materiale delle scorie radioattive non è attualmente pensabile e occorre quindi "stoccarle", cioè immagazzinarle in appositi depositi schermanti di natura ingegneristica o geologica, come quello individuato in America nel deserto del New Mexico.

    La costruzione di depositi geologici per lo stoccaggio comunitario delle scorie è uno degli obiettivi dell'Unione Europea e la Finlandia è stata la prima a avviare, nel 2004, i lavori per la realizzazione di un grande tunnel scavato nel granito nella località di Olkiluoto che smaltirà in modo definitivo il combustibile esausto prodotto dalle centrali nazionali.

    Nel tentativo di individuare siti adatti allo scopo, la paura della contaminazione rappresenta uno scoglio ancora duro da superare, come testimoniano le proteste relativamente recenti della popolazione di Scanzano Jonico, che ha modificato e, di fatto, arrestato i piani di smaltimento italiani; nel frattempo l'Italia ha continuato regolarmente a produrre rifiuti radioattivi derivanti dall'attività ospedaliera e di ricerca scientifica, senza contare i materiali ancora depositati negli impianti dismessi.

    La fusione nucleare: una sfida per il futuro

    La speranza di un nucleare sicuro e davvero "pulito" per il futuro è riposto nella fusione nucleare, ancora in fase di studio e sperimentazione, che potrebbe fornire energia con una produzione contenuta di scorie, per lo più di II categoria, da combustibile facilmente reperibile pressoché ovunque (il deuterio e il litio sono estraibili dall'acqua e dal terreno) e, in particolare, senza il rischio di reazioni a catena devastanti che potrebbero derivare da un incidente durante un processo di fissione.

    I primi esperimenti rivolti a questo obiettivo iniziarono nei primi anni '90 per poi concretizzarsi nel progetto ITER, nato dalla collaborazione internazionale di diversi paesi, fra cui l'Europa, che si propone di creare il primo reattore a fusione nucleare in Francia nel giro dei prossimi 30 anni.

    Bibliografia

    The Chernobyl Forum: "Chernobyl 's Legacy: Health,Environmental and Socio-Economic Impacts"

    Giovanni Spataro: "Chernobyl, 20 anni dopo" - "Le Scienze", Aprile 2006

    Cristina Valsecchi: "Liberarsi delle scorie" - "Le Scienze", Aprile 2006

    Patrick Moore: "Going Nuclear; A Green Makes the Case" - "Washington Post", 16/04/2006

    Sitografia

    Chernobyl Forum http://www-ns.iaea.org/meetings/rw-summaries/chernobyl_forum.htm

    WHO - World Health Organization www.who.int

    SOGIN - SOcietà Gestione Impianti Nucleari SpA www.sogin.it

    Il progetto ITER www.iter.org